POESIE

NOTA DELL'AUTORE

Nota dell'autore

 

Mi contrista sempre incontrare gente – tanta!- che nutre nei confronti della poesia sentimenti che vanno dal puro disinteresse verso quella che è considerata una perdita di tempo alla tenace convinzione che “poesia” equivalga a “irrealtà”.

Credo che questo sia un sintomo serio della superficialità della nostra vita. Lavoriamo, mangiamo, facciamo figli, leggiamo, ci ammaliamo… corriamo… e solo qualcuno si ferma talvolta e si chiede: “Perché sto correndo?”. Molti muoiono prima di giungere a porsi seriamente questa domanda.

Tocca a ciascuno di noi decidere se continuare questa collettiva, frenetica corsa o fermarsi un attimo, correggere la direzione, guardarsi attorno con calma. Esiste una musica del cosmo, una musica della natura e degli uomini; il mondo intero è un simbolo denso da penetrare. Ma non è possibile farlo se ci bardiamo con tracotante armamento dell’homo faber che si illude di capire tutto con formule matematiche, di risolvere tutto con le sue tecnologie. Solo quando comprendiamo che il mondo non è la nostra riserva di caccia illimitata, che le persone non sono dei “tipi” sociali appiattiti da etichette riducenti, che il senso della presenza dell’uomo su questo pianeta non è dato dalle quotazioni in borsa e dai computers cominciamo ad essere in sintonia con la musica del cosmo. La poesia non è che il tentativo di mettere fuori quella musica che ciascuno di noi, ogni ruscello e ogni albero, ogni cosa che ci circonda ha dentro si sé.

Far poesia, è evidente, è compito riservato, tra tutte le creatura, al solo uomo; è un compito (o è meglio “vocazione”?) che si realizza nella storia dell’uomo. E’ per questo che la poesia non è sempre canto idilliaco delle meraviglie del mondo ma può essere, forse più spesso, il lamento accorato che viene dalle situazioni di povertà, di iniquità, di violenza all’uomo e alla terra che ci circondano e ci opprimono. Ma le difficoltà e le brutture della nostra storia divengono per il poeta il primo piano che, in una foto, viene ritratto sfuocato e fa da preludio ad un orizzonte sconfinato messo, questo sì, nitidamente a fuoco. Benché spesso il dolore o lo sdegno ci porto a mettere a fuoco il rovo in primo piano, sfuocando la visione del panorama, è quest’ultimo l’obiettivo finale. Piangere le miserie della storia, esprimere il dolore immenso di certi nostri giorni,chiedere più giustizia e pace per il mondo equivale a riproporre agli uomini che “corrono senza fermarsi” la musica del cosmo, significa far balenare l’immagine di quel panorama così stupendo che altre volte fa dimenticare al poeta i dolori della sua gente e della sua vita e gli suggerisce parole dolci e versi di rugiada.

Le poesie qui raccolte esprimono realtà di gioia, di stupore, di gratitudine … di dolore. Sono soprattutto il frutto della continua lotta che faccio con me stesso per fermare la mia corsa e chiedermi dove sto andando. Ho ceduto alla tentazione di inserire nella raccolta di poesie che appartengono alla mia prima produzione, quando “scarnire non sapevo la voce primitiva ancora rozza” (Quasimodo!) E’ forse il tributo che devo pagare alla nostalgia della freschezza che quelle “piccole parole” d’un adolescente scomparso trasudavano. Ma ormai, come direbbe Borges, esse non sono più mie … per questo chiedo al lettore più attento di non fermarsi, seguendo l’ordine diacronico, a queste liriche: è sulla serie “A mio cugino Antonio”, su “Sospiri dal deserto” o “Resa”, su alcuni versi dedicati alla mia terra che chiedo di essere giudicato.

Ciò spero profondamente non è tanto che le mie poesia piacciano o meno, ma che riescano a convincere chi ne ha bisogno che la poesia è immersione così profonda nella realtà del mondo che riesce non solo a

narrare il mondo per ciò che è, ma anche a far “intuire” come dovrebbe essere … e se il mondo prendesse ad essere come Dio lo aveva creato per noi … sarebbe musica.

A.B.

Cerignola, 23 luglio 1988

 

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(Fonte: Antonio Belpiede, LIBRO IL GUADO)