RACCONTO LA STORIA

FRATE VENTO L'AMICO 2/2013

LIBERE ASSOCIAZIONI DELL'ANIMA

"Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade ..." diceva Ungaretti, di fronte al fuoco del Natale, intimizzando in maniera universalmente significativa la sua voglia di riposo e profondità. E' morta mia madre, da pochi giorni, e non ho voglia di analizzare il grande discorso del presidente Napolitano. Voglio coccolarmi il mio lutto come non ho mai fatto con un siamese in vita mia (anche perché allergico al pelo di gatto!).

La psicanalisi ci ha insegnato il principio dell'associazione. Alla parola suggerita dall'analista il paziente risponde immediatamente con la parola che gli viene in mente. Le reazioni sono diverse da persona a persona. Alla parola "donna" un maniaco seriale dirà magari "stupro", un ginecologo "lavoro", un poeta "fiore", un innamorato "amore". Alla parola "madre", un orfano risponderà "assenza", un figlio vittima di una madre malata e alcolizzata dirà forse "cattiva", io dico d'istinto "gratitudine" e "mancanza" e "nostalgia" e ... "gioia del ricordo" e ... devo fermarmi.

Ad essere onesto coi lettori - e cerco di esserlo sempre, per natura e convinzione - dovrei anche interrogarmi sul perché ho associato, nel magma che precede la decisione del titolo di Frate Vento, mia madre al rieletto presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Credo che la parola prima sia "vita" e ancora "speranza" e "fiducia".

Mio padre buonanima, Nicola, classe 1924, nato pochi mesi prima di Napolitano apparteneva, come il presidente, a quella schiera di uomini che "fecero l'impresa" di traghettare l'Italia da una guerra perduta all'ingresso nel G7, alla fondazione della CECA (Comunità europea del carbone e dell'acciaio) nel 1951 e della prima Comunità economica europea, col Trattato di Roma del 1957. Se Napolitano, comunista, iniziava a 28 anni la sua carriera di deputato, che lo avrebbe condotto a così brillante carriera, papà Nicola, che si era tatuato sull'anima, accanto allo scapolare del Terz'Ordine Francescano, lo scudo crociato della D.C., lottava a Cerignola, patria di Giuseppe Di Vittorio oltre che sua e di molte migliaia di braccianti, per affermare le ragioni della democrazia, mentre ancora sopravvivevano le comprensibili reazioni alle violenze del fascismo e i desideri di vendetta contro questo o quel gerarca. Più volte le autoblindo della Celere vennero da Bari nella città di Cerere, per estinguere fiamme di rivolta. Fu lo stesso Di Vittorio, uomo di grande statura morale, a far vergognare in un memorabile discorso in piazza Matteotti, davanti a quel teatro che risuonava delle note di Pietro Mascagni e della Cavalleria, la "cafunarie", vale a dire la massa dei "cafune", dei braccianti avvolti nel tabarro sotto la coppola, che se ne andarono col capo chino dopo l'inatteso rimprovero di "Peppino". L'avevano fatta grossa, incendiando il locale Ufficio del lavoro e la sede del Partito Popolare di don Sturzo, dove papà già operava. Di Vittorio venne da Roma a catechizzare i braccianti: il fascismo era finito, occorreva incarnare la Costituzione della Repubblica...

"Rielezione di Napolitano", sembra dire l'invisibile analista junghiano (perché non è vero che Freud ha "inventato" da solo la psicanalisi e Jung ... lo supera di molto!) e Frate Vento associa: "paura degli uomini nuovi", "abbassamento della classe politica".

Pregare un uomo di ottantotto anni di restare a capo della Repubblica significa tante cose. L'analisi di psicologia di massa meriterebbe Erich Fromm, oltre che Carl Gustav Jung. Parafrasando un famoso libro del primo, direi che si dovrebbe tentare la "Anatomia della distruttività italica". L'ultimo tra i popoli europei a leggere, andare a cinema e a teatro, il mio popolo: gli italiani. I primi in classifica dinanzi al televisore. Di Vittorio imparava a leggere nelle pause del lavoro duro nella masseria sull'Ofanto; gli italiani si lobotomizzano dinanzi a una TV da cui è partita la corruzione con Beautiful, Dallas, Dinasty e non ha fatto che peggiorare.

Rieleggono Napolitano. Con un suffragio immenso. "Nonno Giorgio, aiutaci ... non siamo capaci", sembrano dire tutti. Tutti si alzano ad applaudire, tranne i 5 stelle. Si alzano ma a mani ferme.

"Classe politica italiana" continua l'analista. E rispondo "indegna", "incapace". "Popolo italiano" continua lui. Associo: "inconsistente", "teledipendente". Un popolo è degno del suo re, se no ... lo detronizza. Il nostro popolo ha introiettato la cultura della comodità, del denaro e del piacere facile, del facile scambio tra dignità e favori. Alla corruzione mediatica, alle derisioni dei popoli europei di fronte alla superficialità irresponsabile di un ex presidente del Consiglio che non voglio più citare, perché è già troppo presente tra processi e Tivù, non è succeduta una rivoluzione democratica. Tra un Bersani ingessato nella sua ottusità veterocomunista e un Pdl che non è riuscito nemmeno a fare le primarie per vestirsi da ascaro del padrone, gli italiani, stanchi e disabituati alla fatica del pensare, hanno scelto le urla del ricciolino genovese.

"Siamo quasi alla fine", dice il dottore. "Grillo": associo "grande comico", "politico inaffidabile", "autoritario", "pericoloso". La seduta è finita.

Qualcuno dei miei quindici lettori pensa che, in quanto frate non dovrei occuparmi di politica. Penso e sospiro prima di replicare. Il Diritto Canonico impedisce generalmente ai chierici e ai religiosi di partecipare attivamente alla vita politica, non di pensare, parlare e ... predicare. Se tanti imbecilli e corrotti dicono cose false in Tivù, perché un vescovo o uno di noi non dovrebbe dire la sua dal pulpito che la Chiesa gli ha affidato? Ma la risposta decisiva la lascio dare al martire dei lager, pastore Dietrich Bonhoeffer. A chi gli chiedeva come facesse a conciliare il suo ministero di pastore con l'impegno politico contro il nazismo rispondeva con una storiella: il pastore di pecore che vede avvicinarsi un pazzo che conduce un'auto ad alta velocità (si pensi agli anni '30 e alle decappottabili dell'epoca con larghi predellini laterali) che sta per schiantarsi contro il gregge, non si mette in ginocchio a pregare Dio, ma cerca di saltare sull'auto, di strappare il pazzo dal volante e fermare il veicolo.

Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di argomenti, le cose serie che il Presidente rieletto ha detto nel suo straordinario discorso. Ho perso mia madre da pochi giorni e voglio coccolarmi il mio lutto, voglio pensare al quotidiano eroismo delle donne e degli uomini che ricostruirono l'Italia. Affidandosi a Giorgio Napolitano, affidando a lui la guida del paese, i grandi elettori hanno ammesso in buona parte l'incapacità di trovare altri uomini. Eppure è da questi, dalle donne e dagli uomini più giovani che dovrà esser guidato il paese nei prossimi anni. Nonno Giorgio ... aiutaci a crescere. Il tempo delle veline è finito. Sarà faticoso farlo entrare nei cuori, ma dobbiamo farcela: con parole sapide, con esempi indiscutibili, con senso di unità e riflessioni costruttive. Le urla di Grillo non servono. Torni a fare il comico e irrida se stesso.

 

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(Fonte: Antonio Belpiede, L'AMICO DEL TERZIARIO)