EDITORIALE L'AMICO 4/2019 |
TALITÀ KUM – ALZATI EUROPA
Diffuse da mezzi velocissimi e alla portata di tutti nei paesi sviluppati, le parole si propagano come virus. Non a caso è stato recentemente usato l’aggettivo virale per descrivere un testo, delle immagini fisse o un video che in poco tempo “infestino” il Web. Molte parole, tuttavia, e altri segni comunicativi sono virali non solo perché si diffondono a velocità impressionante, ma perché, come ogni virus, fanno male, recano danno. Sono parole brutte, veloci, accorciate, deformate nel nevrotico tentativo di essere più veloci, senza mai la preoccupazione della qualità o della bellezza; sono parole false, le fake news – notizie false – ci circondano da ogni dove, tanto che qualche osservatore afferma che siamo entrati nella Post truth age – l’era della post – verità; sono, ancora, parole deboli, che non toccano il cuore, che non muovono a grandi imprese, che non aiutano la vita a scorrere, né – inevitabile – la poesia a sgorgare come acqua sorgiva. La parola di Gesù ha la maiuscola. Il Vangelo di Marco attesta che “erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi” (1,22). La parola di Gesù non tocca solo i cuori degli uomini ma ordina agli spiriti infernali, sottomette la natura: “Lo voglio, sii guarito” (Luca 5, 13) … e la persona è risanata, il male si arresta, la patologia scompare. Nei discorsi d’addio contenuti nel Vangelo di Giovanni, (Capitoli XIII – XVII) Gesù insiste: “Chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre” (Giovanni 14,12). L’Ascensione di Gesù risorto al Padre dà inizio alla missione dello Spirito Santo. La Chiesa è evento di Pentecoste: non il singolo giorno beato in cui fra tremolii d’infissi e fiammelle di fuoco lo Spirito discese sulla Vergine Madre e i discepoli riuniti nel cenacolo, ma ogni giorno del tempo che scorre tra quel giorno e il ritorno glorioso del Cristo Re. In questo tempo dello Spirito, come discepoli di Gesù, siamo inviati al mondo con le labbra unte per annunciare parole di senso: non fake news, non parole come virus, ma parole di benedizione, che penetrano nel terreno duro della storia come “la pioggia e la neve che scendono giù dal cielo” (Isaia 55 …), parole che scacciano il male come Gesù i demoni che disturbavano figli di Dio, parole che guariscono chi soffre e stimolano tanti a rimboccarsi le maniche per cooperare con Dio alla salvezza del mondo, con la carità, col servizio, con l’amore. Dopo il Concilio Lateranense IV (1215), il Papa Innocenzo III riconobbe nei frati di Francesco e di Domenico un dono grande del Signore e li inviò a percorrere le strade d’Europa, dando per la prima volta a uomini che non erano vescovi l’autorità di predicare. E sorse Antonio di Padova, non solo come predicatore dalle labbra infuocate dallo Spirito, ma anche come primo maestro di teologia dell’Ordine francescano. Antonio … arrivava sovente in una città con un seguito di frati. I sacerdoti ascoltavano le confessioni dei fedeli, gli altri fratelli, parlavano alla gente e la gente scopriva la sete che non aveva riconosciuto e si dissetava di Vangelo. Antonio di Padova, quanto ti fece a lui somigliante il tuo Signore. Parlavi con autorità, scacciavi il male, resistevi ai potenti per proteggere i deboli, guarivi gli infermi, risuscitavi la fede perduta. Lascio alla lezione magistrale del professor Nicola Neri il compito di farci riflettere sull’attuale condizione dell’Europa. Non vi sono eresie formali, come quelle dei Catari e degli Albigesi al tempo di Antonio, ma il distacco dalla saggezza della natura per seguire la superbia tecnologica, l’edonismo monetario e la perdita di ogni valore etico per un relativismo dittatoriale hanno buttato l’Europa in una specie di coma gravissimo. La Chiesa, frastornata dal senso di colpa che le viene dai troppi scandali di suoi figli, fa fatica a ricordarsi della promessa di Gesù: “Voi farete cose più grandi di me”. E i figli di Francesco in essa stentano ad assumere il dinamismo dei padri. I frati accorpano province come se spostando linee su una carta geografica si risolvesse il problema. Contemplano la secolarizzazione e invecchiano in silenzio. “Non c’è nulla da fare!” e il refrain dei cuori, se non delle labbra. Nel capitolo 5 del Vangelo di Marco si parla della figlia di Giàiro. Un padre pieno di fede corre da Gesù e gli chiede di imporre le mani alla figlia moribonda. Egli crede che, se Gesù la tocca, la fanciulla sarà guarita. Ma mentre vanno a casa gli corrono incontro: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il maestro?”. E quando Gesù si avvicina e dice che la fanciulla non è morta ma dorme i più lo deridono. Ma è Gesù. Entra, prende la mano della bambina e le dice: “Talità kum”. Cioè: “Fanciulla, io ti dico , alzati!”. Da Nowa Huta, quartiere industriale di Cracovia pensato per essere la consacrazione del lavoro ateo, s’ode la voce potente che risuono l’11 giugno 1979 dal giovane Papa Giovanni Paolo II: “Talità kum”. E i padri e le madri dell’Europa, Benedetto, Cirillo e Metodio, Brigida di Svezia, Caterina da Siena, Teresa Benedetta della croce ripetono: “Talità kum”. E Antonio di Lisbona e Padova e Francesco e tutta la schiera dei consacrati alla missione ripetono: “Talità kum”. Anche questo povero frate direttore fa sua la profezia di Giovanni Paolo II, la Nuova Evangelizzazione. L’Europa non è morta, dice Gesù, ma dorme. Così la Chiesa. Dillo, Signore Gesù: “Talità kum”: Alzati, Europa; Alzati Chiesa in Europa. Amen!
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