RACCONTO LA STORIA

FRATE VENTO L'AMICO 2/2012

LUOGHI NUOVI DEL VANGELO

“Il Signore Dio esce dalla sua dimora e scende e cammina sulle alture della terra” (Michea 1,3).

Nel linguaggio dell’Antico testamento “le alture” – “bamot” sono il luogo del peccato d’Israele, dove a volte il popolo di Dio, nel suo cammino verso un deciso monoteismo, si è lasciato contagiare dai culti idolatrici dei popoli di Canaan, legati ai cicli di fertilità della terra, sovente cruenti.

L’immagine di Dio che esce dal santuario del suo culto e affronta il suo popolo infedele nei luoghi “empi” del suo peccato è potente. Nella pienezza dei tempi Gesù di Nazareth percorrerà luoghi e incontrerà persone decisamente fuori dei giri rituali e dei protocolli legalisti dei farisei, dei dottori delle Legge e degli scribi. La casa di Levi – Matteo il pubblicano e quella di Zaccheo, presso cui si autoinvita a pranzo, gli occhi della samaritana al pozzo e le lacrime della peccatrice sui suoi piedi, il vento di nuova vita dei suoi capelli usati per asciugarli sono familiari al Maestro. Il Verbo eterno si è fatto carne. Il luogo del culto non è più delimitato a un tempio di pietra. Il tempio è mobile, itinerante, pulsante con battiti cardiaci umani e divini: il tempio è il Cristo. E’ lui stesso a dirlo: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,19).

Matteo, Zaccheo, il centurione romano, Maddalena e una folta schiera di donne rappresentano la gente emarginata dai luoghi ufficiali del culto. Eppure Gesù cambia il paradigma farisaico. In una parabola il pubblicano, che si batte il petto in fondo al tempio, se ne va a casa giustificato, mentre il tronfio fariseo s’illude di essere gradito a Dio.

Gesù fa di più. Percorre senza sosta le strade di Giudea, di Samaria, di Galilea per rendersi presente, Lui – Tempio dell’Altissimo, ad ogni uomo o donna. Quando viene crocifisso, i blasfemi cultori del legalismo più inumano gli urlano di scendere dalla croce. Ma può il tabernacolo spostarsi dal centro della chiesa? Può il vescovo fuggire dalla sua cattedra durante la veglia pasquale? Può, infine, la vittima immolata scendere dall’altare? Gesù resta sulla croce e muore. Egli è vittima, sacerdote e tempio. I capi del popolo pensano di avergli chiuso la bocca. La mano pagana, tuttavia, più onesta di quelle di Caifa e Anna, scaglia la lancia che penetra il torace di Gesù: il tempio è dissigillato, la porta aperta. “Subito ne uscì sangue ed acqua!” (Gv 19,34).

Da quel momento il fiotto del sangue e dell’acqua che dà vita si spande sul mondo intero. Il tempio di Gerusalemme fu distrutto dai romani e non ne resta che un frammento di mura, sature di lacrime e comprensibile nostalgia. Il tempio vivo che è Cristo è spalancato alle moltitudini. Le acque viste nella visione del profeta Ezechiele (Cap. 47) non escono dalla porta del tempio di pietra, ma dal costato aperto di Gesù Risorto e scorrono fino ai quattro angoli del mondo.

Chiudere questo mistero di salvezza e vita tra le mura fisiche dei templi cristiani sarebbe riduttivo. La Chiesa ha sempre inteso nell’anima sua l’esortazione del risorto: “Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni da Gerusalemme fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). In certe epoche la consapevolezza o la pretesa di vivere in una società permeata di valori cristiani hanno contribuito ad una pastorale “attendista”. Oggi le chiese d’Europa e dell’Occidente già cristiano si svuotano progressivamente. Benedetto XVI richiama con dolce fermezza ad una Nuova Evangelizzazione, dando corpo giuridico alla visione di Giovanni Paolo II. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre. Cambia, tuttavia, il linguaggio per annunciarlo, perché l’unica verità deve giungere alla comprensione del destinatario uomo – donna, nella sua lingua, nella sua cultura. Cambiano forse anche i luoghi.

Il Rinnovamento nello Spirito è per sua natura “una corrente di grazia nella Chiesa” (Raniero Cantalamessa). Dopo il Vaticano II ha aperto più volte nuovi sentieri, “rinnovando” il modo della preghiera personale e comunitaria, arricchendo di note e melodie nuove le celebrazioni, usando la musica e l’insistente invocazione allo Spirito Santo come fattore di evangelizzazione per raggiungere con semplicità i più lontani.

E’ così che mi sono trovato a predicare dalla pista principale della discoteca Divine Follie, la più famosa di Puglia, a Bisceglie. Il locale è stato pensato come una dantesca discesa agli inferi, con scale che sprofondano a spirale verso il cuore della danza. In questo periodo ogni sabato notte viene celebrato un vizio capitale. Sabato 14 aprile, ancora nell’ottava pasquale, era stata cantata la Superbia. Ma col sorger del sole i primi padri di famiglia del Rinnovamento sono arrivati, e i giovani con competenze di cavi e logistica. Alle dieci un popolo solare ha occupato piste, mezzanini, cubi e colonne. E anziché veneri più o meno discinte con pose pitonesche, ragazzi e ragazze belli e freschi come l’acqua di sorgente hanno cominciato a cantare Gloria a Dio. La Divina Commedia non termina nella valle oscura del primo canto. Ad ogni cantica la parola conclusiva è “stelle”. Così la stella del mattino è giunta dopo la notte delle percussioni esagerate a dare l’inizio alle melodie che uniscono cielo e terra. “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.

Le percentuali degli europei che si recano in chiesa la domenica sono risibili. Pure i pastori della chiesa cattolica attendono ancora sulla Maginot dei sacramenti un gregge che ascolta catechesi d’altro tipo, da quelle scialbe della TV al canto, magari, dei vizi capitali, quasi rapsodia illusoria di liberazione umana. Uscire dal santuario e camminare per le alture del paese: è questa la missione. Tommaso d’Acquino diceva che “La Grazia presuppone e perfeziona la natura”. Anche i cubi e le piste da ballo, come la casa di Zaccheo e quella di Levi, anche gli occhi di una truccatissima cubista con pochi centimetri di tessuto sul corpo, come quelli della samaritana o di Maria di Magdala, sono luoghi di Vangelo, eletti dal Verbo incarnato.

La liturgia della domenica richiamava le piaghe gloriose del Cristo, il sangue e l’acqua che colano perennemente dalla ferita del costato nell’annuncio del Vangelo e nei sacramenti della Chiesa: l’acqua, il battesimo, il sangue, l’eucaristia. Lo stesso Giovanni, nelle sue visioni d’aquila, nell’Apocalisse, vede l’Agnello immolato che sta in piedi e la Gerusalemme Celeste che scende dal cielo. Ho visto il cielo discendere fino all’ultima fossa della discoteca. Come il pane e il vino sono stati trasformati in Cristo, così ogni sospiro sparso nella notte, ogni ritmica stanca di orizzonte chiuso, ogni “che senso ha questo profondo infinito seren” (Leopardi), tutta l’ansia di pienezza sparsa dalle anime passate per quel luogo è stata trasformata in pane e vino. “Io sono venuto perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza!” (Gv 10,10).

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(Fonte: Antonio Belpiede, L'AMICO DEL TERZIARIO)

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