DIARI DI VIAGGIO

TRA MONTPARNASSE E MONTECITORIO

Taccuino francese:

Tra Montparnasse E Montecitorio

Di Frate Antonio Belpiede

L’aeroporto Charles De Gaulle a Roissy, sembra uno scalo scandinavo o canadese. Socchiudendo gli occhi sulle piste innevate, dai venti gradi perenni delle sale aeroportuali, mi sembra di entrare in un quadro di  Claude Monet. L’atmosfera è soffusa. Il mio inconscio più prossimo alla coscienza spinge a galla Jingle bells, ma subito vince il mio superio cristiano con Adeste fideles. Tanto c’è tempo di canticchiare arie natalizie.

Sull’airbus Swiss Air il comandante ci dice che attendiamo ordini dalla torre di controllo. Gli spazzaneve possenti avanzano nel paesaggio lunare senza tregua, sgombrano le piste per farci partire. Le difficoltà tecniche sono evidenti. Il comandante svizzero chiede scusa, spiega che dobbiamo fare un rifornimento supplementare perché ci hanno assegnato una rotta più lunga per Zurigo. Partiamo infine, con cento minuti di ritardo. Temo per la mia coincidenza. Non ci sono altri aerei per Bari. Chiedo informazioni in inglese alla hostess, in francese, ma stringe le spalle. Mi chiama il capo cabina, il quale mi rassicura e mi spiega che non c’è bisogno di avvisare il personale all’imbarco per Bari: “Sanno già tutto, signore!”. Dopo 5 minuti il cartone di Tom e Jerry sullo schermo cede luogo ad informazioni preziose. La prima videata espone tutte le coincidenze perdute dai passeggeri del volo: Roma, Milano, Dusseldorf, Londra … una dozzina di destinazioni: “I passeggeri di questi voli sono già stati prenotati sul volo successivo. All’arrivo a Zurigo troverete il personale pronto ad assistervi”. Cambio pagina, tocca a me. Il volo per Bari mi attende alla porta A67. Mi confermano che parto dallo stesso terminal di arrivo e mi indicano la porta. Il mio aereo parte alle 18.05. Era l’ultima coincidenza legata a questo volo. Molti parlerebbero di fortuna … ma io ho invocato San Michele e tutti gli angeli sulla pista di Parigi.

A Zurigo scendo tra i primi e m’imbatto, all’uscita del condotto che collega aereo ed edificio, in un cartello luminoso che mi ripete le informazioni del volo per Bari. Una signora in divisa blu mi chiede: “Bari?”, e al mio sì m’indica la direzione: sempre dritto. A passo svelto arrivo all’imbarco. Non hanno ancora aperto. Mi rivolgo alla signora che è dietro il banco e le chiedo informazioni sulla mia valigia. Mi chiede la ricevuta bagaglio, telefona, mi rassicura: “La sua valigia è adesso sul mezzo di trasporto, arriverà sull’aereo prima di lei”. Sono un povero viaggiatore in economy class. Ho perso molte coincidenze a Fiumicino e Malpensa, senza neve e col sole in cielo. Conosco storie di valigie perdute o aperte. Qui trasferiscono il bagaglio in meno di mezz’ora. Mi siedo. L’efficienza svizzera mi inebria. Raccomanderò Swiss Air finché vivrò. Lo giuro!

A Bari ci sono 16 gradi, alle 20.00. I giornali radio e la TV  mi strappano presto dalla testa le musiche natalizie. Il 14 dicembre è il giorno fatidico. Il Parlamento italiano voterà la fiducia al governo. Il villaggio Italia attende “l’alba della nuova era”. Nel frattempo alcuni parlamentari tra i più zelanti (ma zelo per chi? Per cosa? …) cambiano casacca (una volta si diceva “voltano bandiera”!). E si vota! “E sparve! E i dì dell’ozio chiuse in sì breve sponda …” (A. Manzoni): così ogni parte vorrebbe scrivere del leader avversario. Eppure il problema non è un capo, ma l’identità, il senso di cittadinanza, la partecipazione democratica di cinquantotto milioni d’italiani. Per pochi voti il governo resiste. Da un lato si grida vittoria. Dall’altro si nega sconfitta. I toni sono enfatici … quasi epici. Ma non è la battaglia di Vittorio Veneto. Quella non arriva ancora.

La Caporetto della democrazia italiana, al contrario, è iniziata da tempo. Tra un deputato che si dimette perché sorpreso tra “escort” (quale nobile eufemismo per dire … un’altra parola!) e cocaina in un albergo di Roma, a molti altri che resistono sul seggio, fino al senatore Bossi che alza il dito sbagliato per indicare il cielo il 2 giugno 2008, e vilipende i simboli della Repubblica sulla via dei grandi imperatori di Roma, fino ai commandos impavidi che lacerano la divisa di partito per passare, sotto reticolati e sputi, nell’altra trincea, e ricevere un’uniforme di colore diverso nuova fiammante.

Tra Montecitorio e Palazzo Madama, fino a Palazzo Chigi, ammannite dall’occhio ipnotico del Grande Fratello, si offrono ancora illusioni agli italiani, i quali sono felici di essere illusi. Il 14 dicembre 2010 a Roma non è il 14 luglio 1789 a Parigi. Noi non abbiamo un re da mandar via, un Luigi XVI da riportare da Versailles al Louvre, dal Louvre alla Conciérgerie e da qui alla ghigliottina. Noi non abbiamo una democrazia da reclamare, una sovranità popolare da ottenere. Queste cose le abbiamo già, forse le avevamo, incise di sangue e speranza in una delle più belle Costituzioni mai scritte. Non è un dittatore che sta ferendo la democrazia italiana, sono masse di italiani che non hanno la capacità o la voglia di capire, contestare, proporre, partecipare. Paolo Conte, avvocato astigiano, divo a Parigi, dice in una sua canzone: “I francesi che s’incazzano!”. E non si riferisce certo alla violenza da reprimere dei “black block”, ma alla capacità civile di protestare, manifestare, esprimere col dissenso quella sovranità che il nostro popolo non può ridurre solo ad una croce su una scheda, soprattutto da quando gli hanno tolto la possibilità di scegliere tra questo e quel deputato.

Col lessico nobile del filosofo, Domenico Corradini H. Broussard esprime un concetto analogo a quello di Conte. L’ingiustizia più tragica, egli dice, “è l’ingiustizia legale, quella che si consuma all’ombra della legge e con il consenso della legge. […] La tragicità consiste nel fatto che dinanzi all’ingiustizia legale siamo sempre esposti a un aut aut: o rassegnarci o indignarci.” E non è ingiustizia pagare il Parlamento più numeroso d’Europa coi redditi più alti? Non è ingiustizia sostenuta dalla legge che la signora Zanicchi e molti altri europarlamentari abbiano infangato il paese col loro assenteismo? Italiani ultimi! Ma primi, quanto al reddito, tra i deputati dei ventisette paesi! Non è un’ingiustizia che dei parlamentari debbano pensare a salvare il proprio scranno anziché lavorare per il paese? Continua il filosofo: “Si rassegna il pavido, l’inetto, il vile, l’indifferente […] S’indigna invece chi subisce un torto e ha consapevolezza che dello stesso torto possono rimanere vittime altri e non vuole che altri lo subiscano”. Ci saranno ancora italiani capaci d’indignarsi in patria? Come s’indignava Sturzo da New York o Di Vittorio a Parigi durante la dittatura fascista?

All’ingresso del Museo d’Orsay, quasi di fronte ai bassorilievi bronzei di due immensi italiani, Virgilio e Dante, c’è un grande quadro di Thomas Couture: Les romains de la décadence (I romani della decadenza), del 1847. Nella prospettiva di una grande festa in una sfarzosa casa patrizia, uomini e donne su triclinii, efebi, gente che mangiucchia senza gusto, che si abbraccia senza passione, esangui e tristi tutti. Dall’estero si vede meglio a quale bassezza stia scendendo il nostro popolo, le istituzioni democratiche, la nazione e la sua identità. A Bruxelles e a Strasburgo, in Francia come in Germania, in Spagna come nel Regno Unito, in Canada e Stati Uniti l’immagine del nostro paese scende continuamente. La nostra è una democrazia logorroica e televisiva. In nessun paese che conosco ho visto alla TV un numero così elevato di programmi di dibattito politico come da noi …. Ci piace parlare. Lavorare per il paese è un’altra cosa. Gustavo Zagrebelsky dice che quando la democrazia è in crisi occorre più impegno per essa, occorre … più democrazia[1]. E la democrazia vera ha bisogno di dignità e partecipazione. Quando queste risultano difficili occorre indignarsi per farle rifiorire. Conclude il filosofo: “Solo dall’indignazione, e non dalla rassegnazione, germogliano i diritti dell’uomo”[2]. Viva l’Italia!

 

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[1] Zagrebelsky G., Imparare la democrazia, Roma, Editoriale L’Espresso, La biblioteca di Repubblica, 2005, p. 24.

[2]  Corradini H. Broussard D., «Hominum causa omne ius constitutum». Dall’ingiustizia all’ontoaxia della parità e ai diritti dell’uomo, in Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto n. 1/LXXXVII, (2010), p. 2.

 


(Fonte: Antonio Belpiede, TACCUINO FRANCESE)

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