LIBRI

LE CASE DIPENDENTI DAL MINISTRO GENERALE (Cost. 110.6) STRUTTURA GIURIDICA PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE?

Di Antonio Belpiede, OFM Cap

 

1.LA REVISIONE DELLE COSTITUZIONI E IL CAMBIO DEL PARADIGMA “MISSIONE”

 

 

L’ulteriore revisione delle Costituzioni, attualmente in corso, viene a trovarsi in una stagione in cui il senso della “Missione” vive un processo di cambiamento sensibile.

L’equazione tradizionale assumeva come sinonimi evangelizzazione e Missio ad gentes.[1] Da un lato c’erano le Chiese di antica tradizione cristiana, dall’altro i territori di missione: Africa, America Latina, Asia. Nelle prime si riteneva pur sempre necessario approfondire la fede, e nella catechesi per l’iniziazione cristiana e, specie dopo il Concilio, in quella per gli adulti.[2] Il termine evangelizzazione, tuttavia, era inteso in genere come “prima evangelizzazione”, quella tipica dei missionari in terre lontane. Questa concezione si è espressa, fino ad oggi, con la concretezza connaturale al Jus, nel riparto di competenza riguardo alle Chiese particolari tra Congregazione Dei Vescovi – diocesi di antica tradizione – e Congregazione Per l’Evangelizzazione dei Popoli – Propaganda Fide, incaricata delle diocesi e altre chiese particolari in territori di missione.[3] Il can. 786 definisce giuridicamente il limite temporale dell’impegno dell’azione missionaria: “L’azione propriamente missionaria, per mezzo della quale la Chiesa è impiantata nei popoli o nei gruppi dove ancora non è stata radicata, viene assolta dalla Chiesa soprattutto mandando gli annunziatori del Vangelo fino a quando le nuove Chiese non siano pienamente costituite”.[4] La missione in senso stretto, “azione propriamente missionaria”, termina con la strutturazione piena della Chiesa particolare. La responsabilità passa al vescovo diocesano, non più, come il prefetto o il vicario apostolico, rappresentante vicario del vescovo di Roma, che presiede alla missione, ma rappresentante di “Christus Dominus”, successore degli apostoli e membro del Collegio dei vescovi.[5] Questi, coadiuvato dal suo presbiterio, ha il compito di far crescere la fede, sostenere la speranza, suscitare la carità del popolo di Dio. In altri termini, la Chiesa particolare “è dotata di forze proprie e di mezzi sufficienti, per i quali è capace da sé di compiere l’opera di evangelizzazione”. Il vescovo diocesano ha altresì la responsabilità di promuovere ancora l’azione missionaria verso i lontani (can. 790 § 1).

Sottesa a questa impostazione restava sempre la comprensione del mondo diviso con una certa facilità intellettuale “in territori determinati riconosciuti dalla Santa Sede”. Ne risultava schematicamente semplice la divisione tra prima evangelizzazione, nei territori di missione, ed evangelizzazione ulteriore. Le metodiche, gli obiettivi, gli strumenti della “educazione della fede”, nelle Chiese particolari di antica tradizione, erano generalmente diversi da quelli del primo annuncio missionario.[6]

 

Purtuttavia, il Concilio aveva profeticamente intuito la possibilità di un’evoluzione più complessa: “I gruppi umani in mezzo ai quali si trova la Chiesa spesso per varie ragioni cambiano radicalmente, donde possono scaturire situazioni del tutto nuove. In questo caso la Chiesa deve valutare se esse sono tali da richiedere nuovamente la sua azione missionaria”. [7]

Il beato Giovanni Paolo II colse questa novità dei tempi, il mutamento in atto, lo scricchiolio dello schema nazioni cristiane – terre pagane. Nel discorso alla Conferenza episcopale dell’America Latina, il 9 marzo 1983 a Puebla, pronunziò per la prima volta il termine “Nuova evangelizzazione”. Nel suo magistero successivo il Papa tematizzò questa intuizione. Nella lettera enciclica Redemptoris missio, il neo beato sottolineava l’unica azione missionaria della Chiesa. In questa sorgono differenze “non per ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse circostanze in cui essa si svolge”.[8] La situazione del mondo d’oggi porta il Papa a identificare tre tipi di azione missionaria della Chiesa: La “missio ad gentes”, intesa nel senso classico; l’attività o cura pastorale della Chiesa alle comunità locali robuste, ferventi di fede e vita, solidamente strutturate; l’aiuto alle antiche comunità cristiane che vivono una situazione di difficoltà. Dice Giovanni Paolo II:

«Esiste, infine, una situazione intermedia, specie nei paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle chiese più giovani, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della chiesa, conducendo un’esistenza lontana da Cristo e dal suo vangelo. In questo caso c’è bisogno di una “nuova evangelizzazione” o “ri-evangelizzazione”».[9]

 

L’intero magistero del Papa polacco ha sviluppato, tra le sue linee portanti, questa intuizione: rivedere e aggiornare continuamente le coordinate dell’azione missionaria riguardo al “Primo mondo”, afflitto “dall’indifferentismo, dal secolarismo, dall’ateismo”.[10]

Promulgando con la Costituzione Apostolica Sacrae Disciplinae Leges il nuovo Codice di Diritto Canonico, nel 1983, Giovanni Paolo II lo descriveva come: “Un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico l’ecclesiologia del Concilio”.[11] Per uno di quei paradossi della storia che a volte fanno sorridere, è toccato al papa teologo, Benedetto XVI, tradurre in linguaggio giuridico la Teologia della nuova Evangelizzazione, iniziata dal suo predecessore. Il 21 settembre 2010, festa dell’evangelista Matteo, egli promulgava la Lettera apostolica in forma di Motu Proprio Ubicumque et semper, che istituisce il nuovo Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.

Il Santo Padre cita esplicitamente i diretti antesignani di questo documento: Giovanni Paolo II e Paolo VI.

 

«Il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II fece di questo impegnativo compito uno dei cardini del suo vasto Magistero, sintetizzando nel concetto di "nuova evangelizzazione", che egli approfondì sistematicamente in numerosi interventi, il compito che attende la Chiesa oggi, in particolare nelle regioni di antica cristianizzazione. Un compito che, se riguarda direttamente il suo modo di relazionarsi verso l'esterno, presuppone però, prima di tutto, un costante rinnovamento al suo interno, un continuo passare, per così dire, da evangelizzata ad evangelizzatrice».

 

Era stato Paolo VI per primo, con la “lungimiranza” che Benedetto gli riconosce, a comprendere che solo una Chiesa che evangelizza se stessa è capace di “cercare costantemente i mezzi e il linguaggio adeguati per proporre o riproporre [agli uomini] la rivelazione di Dio e la fede in Gesù Cristo”.[12]

 

Sviluppando una linea già presente nel decreto Ad Gentes, nel magistero di Paolo VI e in quello di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI chiarisce il senso della decisione del nuovo dicastero.

  • «ciò di cui hanno bisogno tutte le Chiese che vivono in territori tradizionalmente cristiani è un rinnovato slancio missionario»;
  • «La diversità delle situazioni esige un attento discernimento; parlare di “nuova evangelizzazione” non significa, infatti, dover elaborare un'unica formula uguale per tutte le circostanze».

 

I pochi articoli del testo normativo sono conseguenti. L’art. 1 recita:

«§ 2. Il Consiglio persegue la propria finalità sia stimolando la riflessione sui temi della nuova evangelizzazione, sia individuando e promuovendo le forme e gli strumenti atti a realizzarla».

Occorre continuare la riflessione del Concilio e del magistero pontificio individuando a un tempo i mezzi concreti per perseguire la Nuova Evangelizzazione. La novità fondamentale risiede, a noi pare, nell’art 2.

«L’azione del Consiglio […] è al servizio delle Chiese particolari, specialmente in quei territori di tradizione cristiana dove con maggiore evidenza si manifesta il fenomeno della secolarizzazione».

Considerando i tempi, il vescovo di Roma ritiene di dover offrire ai suoi confratelli nell’episcopato, nelle chiese di antica tradizione cristiana, un aiuto suppletivo. Il Pontificio Consiglio ha come scopo entrare in una relazione feconda con le antiche chiese particolari dell’Europa e del “Primo mondo” per aiutare i vescovi, col loro popolo, i presbiteri e i consacrati, a dare nuovo slancio all’azione missionaria. Non solo i territori della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, ma il vecchio mondo cristiano ha bisogno di un nuovo annuncio dell’Evangelo.

L’art. 3 specifica i temi della riflessione del Dicastero e i suoi interlocutori e collaboratori: le Conferenze episcopali, le Chiese particolari, gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di vita apostolica.

Il 1622 Gregorio XVI fondò Propaganda Fide,«con il duplice scopo di diffondere il cristianesimo nelle zone dove ancora l'annuncio cristiano non era giunto e difendere il patrimonio della fede nei luoghi dove l'eresia aveva messo in discussione la genuinità della fede».[13]

La scoperta del nuovo mondo, lo spostamento dell’asse del mondo dal Mediterraneo all’Atlantico, spinse la Santa Sede ad affrontare le nuove istanze di missione. La fondazione del nuovo pontificio Consiglio, a fronte delle mutate situazioni dell’Occidente, nasce in analogia profonda con l’istituzione del ‘600. Il nostro san Fedele da Sigmaringen fu il primo martire di Propaganda Fide. Viene da chiedersi quale sarà, tra gli Istituti di vita consacrata chiamati a collaborare a questa nuova impresa, il ruolo del nostro Ordine. Eravamo già stati chiamati a riflettere sulla Missione dalla lettera del nostro ministro Mauro, Nel cuore dell’Ordine la missione, (29 novembre 2009). La creazione del nuovo dicastero, tuttavia, costituisce un’occasione preziosa di rileggere il nostro carisma, apostolico e missionario, coniugandolo con le strutture nuove che “Pietro ritiene necessarie” per annunciare il Vangelo al nostro tempo. La revisione delle Costituzioni non può trascurare questa nuova attenzione della Chiesa. Abbiamo già ricordato come il Diritto Canonico debba essere la traduzione dell’ecclesiologia in un linguaggio chiaro e cogente di diritti e doveri. Le strutture di governo dell’Ordine, le attribuzioni del governo centrale e di quello delle circoscrizioni, la stessa topografia delle nostre case, vanno riguardate in questa prospettiva missionaria che ci viene dal Romano Pontefice, con una visione d’insieme sintonica a quella della Chiesa centrale.

 

 

2. “PARTICOLARE E UNIVERSALE”: UNA DIALETTICA ECCLESIALE

 

 

Il canone 368 esprime in chiari termini giuridici la luminosa teologia del Concilio sulla relazione tra Chiese particolari e Chiesa universale.[14] Il santo Concilio ci ha donato una grande riflessione sulla Chiesa particolare, che si rivela come icona della Trinità[15], nella relazione attorno a Parola di Dio e sacramenti del popolo santo di Dio col suo Vescovo e il presbiterio. La Trinità, tuttavia, si rivela anche nella pericoresi ecclesiale tra Chiese particolari e Chiesa universale. Il mistero dell’”esilio trinitario” del Figlio, che giunge alla kenosis “in esilio” dalla città santa, fuori delle mura di Gerusalemme, si ripete negli istituti di vita consacrata e nelle chiese particolari che inviano uomini e donne, religiosi e religiose, chierici e laici ad estendere l’incarnazione del Verbo, col loro annuncio kerigmatico, nel mondo che il Padre ama: sia esso una brousse africana, la “City” di Londra o l’Università di Parigi o Berlino. Eccessi di centralismo romano o di localismo (episcopale, clericale o laicale che sia, di cui la storia ci ha mostrato esempi) sarebbero dannosi. E’ la relazione tra Chiese figlie e Chiesa madre che ossigena la comunione ontologica. Il pendolo della charitas è sempre in movimento tra Roma e le altre Chiese e fra le Chiese sorelle tra di loro: non secondo l’isocronismo fisico del pendolo di Galileo, ma seguendo la dinamica trinitaria del superamento nell’amore tra il Padre e il Figlio nello Spirito, nella perenne novità della relazione, nelle ineffabili geometrie degli slanci divini, che nello Spirito si rendono ecclesiali e missionari.

Pensando alla Chiesa universale, com’è compito di Pietro, Paolo VI creò delle strutture giuridiche che servissero la comunione tra le chiese e la missione. Si pensi all’istituto che la dottrina ha chiamato “Aggregazione”.[16] Questa innovazione ha consentito nel dopo Concilio una nuova epoca di espansione missionaria, col segno nuovo e consolante di numerosi chierici diocesani, protagonisti come “fidei donum”.

 

Questa dialettica riguarda anche gli ordini religiosi, sia nella relazione con l’episcopato e le chiese particolari, sia nelle relazioni di governo interne agli istituti.

Alle origini del nostro carisma, mentre l’Europa ritornava a muoversi, a costruire, a trafficare, dopo il tramonto delle angosce millenariste, la Santa Sede benedisse il dono dello Spirito a Francesco con adeguate forme giuridiche. Dopo il Concilio Lateranense IV la facoltà di predicare fu estesa dai vescovi a “viri idonei”, approvati per la predicazione. I Frati Minori e i Frati Predicatori fornirono a Innocenzo III gli uomini di cui sentiva il bisogno per la “Reformatio Ecclesiae”. Accanto ad un nuovo slancio di predicazione, il Concilio stabilì il principio della confessione annuale e della partecipazione pasquale all’eucaristia per tutti i fedeli. I sacerdoti degli Ordini mendicanti affiancarono al ministero della predicazione quello dell’ascolto sacramentale delle confessioni. Pur dovendo ricevere il permesso dal vescovo diocesano per predicare nel suo territorio,[17]i Frati Minori godettero di una maggiore autonomia dall’autorità dei vescovi diocesani, che aveva come scopo la mobilità per la missione universale. Il Codice attuale non solo mantiene il “privilegium exemptionis” agli antichi istituti che lo possedevano, ma consente al Romano Pontefice di concedere ad altri istituti lo status di esenzione “in vista di un vantaggio comune”.[18] Lo scopo è sempre quello di avere “milizie pronte” per la missione universale. Se tutti i vescovi sono chiamati, in quanto membri del Collegio, a sentire la “sollecitudine per tutte le Chiese”, è esattamente questo il “proprium” del ministero del Vescovo di Roma.[19] Qualche volta ancora – sempre più raramente - affiorano difficoltà nella relazione tra il vescovo diocesano e gli ordini religiosi di Diritto pontificio,[20]in merito all’itineranza, fuori dei confini della chiesa particolare, di religiosi che in essa hanno il domicilio canonico. Anche il Cardinale di Ostia, Ugolino, amico di Francesco e dell’Ordine, manifestò dubbi al santo sul copioso invio di frati in terre lontane e perigliose. Francesco rispose: «Messere, credete voi che Dio abbia suscitato i frati soltanto per queste regioni?» e gli spiegò come fosse loro compito, in Cristo, pensare non solo ai paesi cristiani, ma a quelli dei non credenti.[21] Adattare la sensibilità di Francesco a questi nostri tempi ci porterebbe a dire: «Dio non ha mandato i frati in missione solo nei paesi lontani, ma anche nelle città d’Europa e dell’Occidente, per riportarle a Lui!».

La fondazione delle circoscrizioni dell’Ordine dei Frati Minori, in tutti suoi rami storici, sino ai tre attuali e al T.O.R. ha costituito la strutturazione giuridico canonica della presenza carismatica francescana. Cresceva la Chiesa, si muovevano i frati per annunciare il Vangelo, crescevano vocazioni e case. Le Custodie, le Vice Province, le Province nascono ancora oggi a seguito dell’espansione missionaria. La Implantatio Ordinis è simultanea alla Implantatio Ecclesiae.[22]

Una volta strutturate le Province, la relazione col Ministro generale e il suo Consiglio concede, nel nostro Diritto proprio, ampi spazi di libertà. Alla tradizione di stretta relazione dell’Ordine col Romano Pontefice e la Santa Sede, corrisponde, al nostro interno, una grande libertà delle Province e dei loro Ministri. I frati che debbano ricoprire incarichi nelle strutture centrali dell’Ordine, più che essere “scelti”, secondo il testo normativo (Cost. 122.2) vengono richiesti dal Ministro generale ai diversi provinciali. Secondo la norma l’autorità del generale sembrerebbe immediata su ogni frate. La prassi è molto più morbida. Ogni volta che il Ministro generale ha bisogno di frati per un qualunque servizio, deve bussare cortesemente alla porta di un Ministro provinciale. Nella dialettica interna all’Ordine, l’autonomia delle circoscrizioni sembra prevalere sulle esigenze di coordinamento centrale. La domanda è se, in tempi di concentrazione del mondo e di visione globale, la tradizione non debba essere aggiornata e temperata nell’altro senso.

 

 

3. ESPANSIONE E CONTRAZIONE: DISPARITA’ CANONICHE

 

 

La Implantatio Ordinis si manifesta con l’erezione di case, dove i frati vivono la loro vita, dove ricevono con benevolenza francescana chiunque bussi alla loro porta e da dove partono per il loro apostolato. Una volta eretta una Provincia (Cost. 111.1), la decisione di erigere canonicamente una nuova casa, ricevuto il voto favorevole del Capitolo provinciale, appartiene al Ministro provinciale e suo Definitorio (Cost. 112.1).

Lo schema giuridico non è speculare nel caso inverso, quando s’intenda sopprimere una casa. Qui, infatti, l’ultima parola spetta al Ministro Generale e al suo Definitorio (Cost. 112.2).

L’origine di questa “disparità canonica” è facilmente comprensibile. L’Ordine che incoraggia e semplifica le procedure di espansione, intende riflettere al massimo livello di governo prima di ridurre le presenze. Un’attitudine che si riscontra – mutatis mutandis – anche in altre situazioni. E’ il Ministro provinciale che ammette un fratello alla professione perpetua (Cost. 19.2), ma la dispensa dei voti spetta alla Sede Apostolica, che valuta il voto del Ministro Generale e suo Definitorio (Cost. 36.4; can. 691). La Chiesa esige la massima attenzione prima di … far marcia indietro.

In tempi di ricchezza vocazionale, di crescita del Vangelo, crescono presenze e strutture, ci si espande in territori lontani al servizio del vangelo.  Nell’Europa e nell’Occidente d’inizio terzo millennio il Governo generale dell’Ordine è chiamato a gestire la revisione e riduzione delle nostre presenze, a confrontarsi con l’eclissi di vangelo nelle terre con antiche radici cristiane.

In Francia, in Spagna, in Germania, nei Paesi Bassi … in Italia assistiamo da alcuni anni a un processo di accorpamento – fusione di circoscrizioni, in cui il ruolo canonico del Ministro Generale e del suo consiglio è cogente.

Nello stesso tempo si assiste a una crescita di sensibilità nell’Ordine sulla “Solidarietà del personale”. Dalle province più ricche di vocazioni, generalmente fuori dell’area del “Primo mondo”, si muovono frati e per servizi temporanei – ad esempio aiuto prezioso nella pastorale del sacramento della riconciliazione a San Giovanni Rotondo e Pietrelcina – e per una presenza prolungata in altre Province, più povere di personale. E’ facile incontrare frati indiani nei conventi di Francia, frati indiani o polacchi a Toronto o africani in Québec. Per non parlare dell’Africa Centrale, dove gran parte del corpo docente viene da fuori continente.[23]

 

 

4.LE CASE DIPENDENTI DAL MINISTRO GENERALE: UN’INTERPRETAZIONE EVOLUTIVA

 

 

L’art. 110.6 delle Costituzioni prevede che vi siano case direttamente dipendenti dal Ministro generale.[24] Questi, col consenso del Definitorio, può stabilire che case determinate dipendano direttamente da lui. E’ possibile anche che ciascuna di queste case possa avere uno statuto particolare. Nulla è detto riguardo ai motivi possibili di questa scelta.

La prassi tradizionale ha affidato alla diretta responsabilità del Ministro generale alcune case romane, che hanno una funzione di servizio all’Ordine intero: la sede della Curia Generale, il Collegio San Lorenzo da Brindisi, la casa di accoglienza di Via Cairoli, i conventi della Garbatella e di Frascati, dedicato alla formazione. A queste sedi, fuori Roma, si aggiunge la casa di Gerusalemme.

La norma è stata finora utilizzata pensando alle strutture centrali dell’Ordine. Il mutato quadro ecclesiale, sancito dal motu proprio del Papa, suggerisce altre applicazioni possibili in chiave di evangelizzazione. Fa parte dell’esperienza generale del Diritto Positivo, in ogni ordinamento giuridico, la fruizione secondo nuove dinamiche, suggerite dal mutamento dei tempi, di norme che erano state in passato utilizzate con parsimonia, o che addirittura vivevano una sorta di stato di quiescenza. Questa lettura in chiave di mutamento è detta “interpretazione evolutiva”.[25]

Le Costituzioni (112.2) impongono a un Ministro provinciale che intenda chiudere una casa dell’Ordine di rivolgersi al Ministro generale e suo Definitorio. Qual è il senso della norma? Che la massima autorità dell’Ordine si pronunci in senso positivo o negativo. Se questa non potesse opporre un no, la norma non avrebbe senso. Tanto varrebbe trasformarla in una “richiesta di parere consultivo”. Così non è. Il Ministro Generale e il suo consiglio sono chiamati a valutare la situazione, caso per caso, a entrare nella problematica di quella circoscrizione, a valutare i motivi, a decidere pro o contro la soppressione. La stessa norma aggiunge che il Ministro generale e il suo definitorio possono sopprimere una casa “per altre cause”, senza la richiesta della parte interessata. E’ chiaro che l’autorità massima dell’Ordine ha potere decisionale in materia.

Ove il motivo della richiesta di soppressione fosse la scarsità di personale, l’impossibilità per la Provincia di mantenere una fraternità in quel luogo, il ministro generale dovrebbe valutare se l’Ordine non possa supplire alla scarsità di frati in loco con l’invio di fratelli da altre circoscrizioni. La condivisione del personale accade già, come si è detto, ma in genere sono le Province a decidere le case da tenere e quelle da abbandonare. Lo strumento che si va affermando è la convenzione tra la Provincia che riceve e quella che invia, con le determinazioni necessarie per una pacifica e fruttuosa convivenza. La pratica della chiusura di una o più case, sembra appartenere ad altra materia. Il Ministro generale e il suo consiglio prendono generalmente atto della richiesta e “certificano la morte” della casa.

Nella circolare Nel cuore dell’Ordine la missione, fra Mauro scrive:

 

«Se al III CPO a Mattli si affermò: “La missione, dovunque e comunque si svolgerà, sia nel cuore della Provincia” (III CPO 34c), oggi dobbiamo dire: “La missione sia nel cuore dell’Ordine”».[26]

 

Queste parole, lette nella nuova prospettiva di missione indicata dal Santo Padre, ci spingono a dire che la chiusura di una casa, in una qualunque nazione del “Primo mondo”, non può stare a cuore solo a una Provincia, ma riguarda l’intero Ordine. Se si tratta di una questione “di missione”, deve stare “nel cuore dell’Ordine”.

 

Sembra possibile, in questo contesto, usare il n. 110.6 delle Costituzioni per un’applicazione creativa e fresca del principio di sussidiarietà. Se una circoscrizione, a causa della mancanza di forze, sta per abbandonare un luogo significativo, ad esempio un’importante città europea o nordamericana, l’Ordine può costituire una fraternità dipendente dal Ministro generale, per un tempo di alcuni anni, e verificare se l’invio di forze fresche e motivate, con un programma di ri-evangelizzazione del territorio, non possa modificare la situazione.

 

Questa semplice proposta ha bisogno di alcuni corollari per l’attuazione.

  • Sarebbe bene, con adeguata sensibilizzazione di tutte le circoscrizioni, redigere una lista di frati disponibili a un’esperienza di alcuni anni in un territorio da ri-evangelizzare. La lista dovrebbe contenere il curriculum di ogni fratello: lingue parlate, esperienza, carismi.
  • Al ricevimento della richiesta di soppressione della casa, il Ministro generale, dopo aver riflettuto col suo definitorio, e avendo optato per l’inopportunità della chiusura, proporrà in primis al Ministro provinciale richiedente di accogliere i frati da lui inviati per comporre la nuova fraternità. Evidentemente, rinunciando alla chiusura della casa. In caso di accettazione si potrebbe stipulare una convenzione bilaterale, tra Provincia accogliente e Curia Generale, tesa tra l’altro a stabilire e condividere il programma di evangelizzazione che la nuova fraternità attuerà. La casa rimarrebbe sotto la giurisdizione del Ministro provinciale, fatta salva la cooperazione col Ministro Generale per la verifica periodica del programma di evangelizzazione.
  • In caso d’indisponibilità del Ministro provinciale e suo Definitorio, il Ministro generale col suo Definitorio stabilirà che la casa dipende direttamente dalla sua autorità, a tempo indeterminato o determinato. In entrambi i casi il governo generale avrà sempre la possibilità di decretare la soppressione della casa, o potrà riassegnarla alla Provincia madre, ove questa la richiedesse, per le mutate situazioni.

 

Nell’ipotesi che la casa venga posta sotto la diretta autorità del generale, sarà bene, seguendo le possibilità del n. 110.6, dotarla di uno statuto. In particolare si dovrà disciplinare la possibilità di accogliere vocazioni alla nostra vita e determinare i luoghi di formazione, che saranno quelli soliti della Provincia, o altri, ove il Ministro generale lo ritenesse. I frati saranno, ordinariamente, alunni di quella Provincia. L’eventuale crescita di vocazioni potrà suggerire e facilitare il ritorno di quella casa alla Provincia di provenienza. Lo statuto dovrà pure prevedere verifiche periodiche del Ministro generale e suo Definitorio sull’andamento della casa e sul risultato dei programmi di ri-evangelizzazione del territorio.

 

L’ultima bozza di revisione delle Costituzioni diffusa dalla Curia Generale aggiunge al n. 110.6 il seguente testo:

 

«[Il Ministro Generale] Similmente può stabilire che qualche fraternità locale dipenda direttamente dalla Conferenza dei superiori maggiori e che abbia uno statuto proprio».

 

L’ipotesi ci vede favorevoli. In caso fosse approvata e promulgata, questa novazione s’inserisce nella dinamica che il motu proprio promuove. L’art. 3 2°, infatti, prevede la collaborazione tra il nuovo dicastero e le Conferenze episcopali.

 

In una prospettiva che veda l’Ordine più coeso, in tempi di “recessione evangelica” in larghe zone dell’Occidente, l’intervento in aiuto che venga dal livello superiore alla circoscrizione locale dovrà essere valutato, caso per caso, dal Ministro generale e suo Definitorio, e potrà essere affidato alla Conferenza dei Ministri provinciali, con modalità analoghe a quelle descritte. Si tratta di usare lo strumento giuridico del n. 110.6 con elasticità, adattandolo alle situazioni concrete. Ascoltiamo ancora il Papa:

 

«La diversità delle situazioni esige un attento discernimento; parlare di “nuova evangelizzazione” non significa, infatti, dover elaborare un'unica formula uguale per tutte le circostanze. E, tuttavia, non è difficile scorgere come ciò di cui hanno bisogno tutte le Chiese che vivono in territori tradizionalmente cristiani sia un rinnovato slancio missionario, espressione di una nuova generosa apertura al dono della grazia».

 

 

Altra considerazione necessaria riguarda l’Ofs. Il Cemiofs (Centro missionario Ofs), partito come “follia francescana” di due giovani coniugi Ofs siciliani, Umberto e Salvatrice Virgadaula, nel crepuscolo del nostro ministero di Assistenza nazionale all’Ofs d’Italia, è ormai una realtà affermata, che coinvolge l’Ofs d’Italia e si estende.[27] Esistono missioni stabili all’estero di famiglie Ofs che, sostenute dalla fraternità secolare, lavorano e testimoniano il vangelo: veri missionari francescani laici.[28] Sarebbe opportuno valutare insieme all’Ofs la possibilità di agganciare la presenza di famiglie missionarie a una fraternità cappuccina dipendente dal Ministro generale, concordando insieme il programma di ri-evangelizzazione del territorio interessato.

 

 

5.PENSARE A ROMA DA BOUAR

 

 

Queste pagine, pur assemblate e rifinite in Puglia, sono state pensate a Bouar – Étude Saint Laurent, dove l’Ordine forma i giovani frati africani con docenti che vengono da diverse province italiane, dalla Polonia, dal Québec, dalla Francia, dal Libano. L’ambiente ecumenico stimola ogni insegnante alla ricerca di linguaggi nuovi. Spiegare la “Persona Giuridica”, con le sue astrazioni raffinate risalenti ai giuristi romani – ad esempio – esige uno sforzo d’incarnazione nelle categorie logiche “terrestri” del genio africano. Nel motu proprio Benedetto XVI esorta a “studiare e favorire l’utilizzo delle moderne forme di comunicazione, come strumenti per la nuova evangelizzazione”. La base della comunicazione è il linguaggio. Nella sua ponderosa opera sulla secolarizzazione, Charles Taylor, auspica l’utilizzo di “linguaggi più sottili”, ispirati all’arte e all’estetica.[29] Francesco parlava in piazza Maggiore a Bologna, nel 1222, quando il giovane Tommaso da Spalato, studente di Diritto nella città, rimase incantato dal suo parlare. Con lui una folla di bolognesi, gente del popolo e dotti, tutti incantati dalla passione del piccolo frate, che con una semantica ispirata ungeva di kerigma il popolo di Dio, arava i cuori induriti col vomere della Parola, portata “fuori del santuario”, nel portico degli uomini.[30]

Francesco parla come un concionator, un oratore laico. Il suo linguaggio non è clericale, ma evangelico, intriso di Sacra Scrittura come dei simboli della natura, che contempla. Innocenzo III aveva auspicato la Reformatio Ecclesiae nel Concilio Lateranense IV, il 1215, e Francesco e Antonio di Padova, i Frati Minori e i Frati Predicatori furono i migliori interpreti dei segni dei tempi, i fedeli servitori del vicario di Cristo.

I figli di Francesco godono del carisma del fondatore. Obbedienti per corredo genetico – spirituale ai richiami del Vescovo di Roma, devono solo riorganizzarsi per promuovere la Nuova Evangelizzazione. In quest’ottica anche i protocolli curiali di chiusura dei conventi possono essere trasformati in progetti di missione, di conversione dei frati ai linguaggi nuovi dell’unico Vangelo. Le acque sotto costa sono esauste. Occorre prendere il largo e “gettare le reti”. Anche una norma apparentemente apatica e burocratica può servire da trampolino a un nuovo slancio evangelico.

 

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L’AUTORE: FRATE ANTONIO BELPIEDE

 

Cappuccino della Provincia di Sant’Angelo e Padre Pio. Già Assistente nazionale Ofs – Gifra d’Italia (1994 – 1997), Vicario Provinciale e Portavoce “del Padre Pio” (2007 – 2010), è giurista civile (Università di Bari) e canonico (Pontificia Università della Santa Croce in Roma), giornalista – direttore de L’Amico del terziario, predicatore e conferenziere tra Italia, Canada, Africa. Insegna Droit Canonique nello Studio Teologico “Saint Laurent” del nostro Ordine in Bouar, RCA. Assistente regionale dell’Ofs di Puglia, Consulente ecclesiastico dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani di Foggia, è vice rappresentante legale dell’Ordine. Vive nel convento di Serracapriola, Centro di accoglienza e formazione per Ofs – Gifra e laici in genere.

E mail fratefuoco@hotmail.com . Sito www.fratefuoco.it .



[1] Il Concilio Ecumenico Vaticano II, afferma nel Decr. Ad gentes, sull’attività missionaria della Chiesa, al n. 6: “Le missioni […] si svolgono per lo più in determinati territori riconosciuti dalla Santa Sede. Fine specifico di questa attività missionaria è la evangelizzazione e la fondazione della Chiesa in seno a quei popoli e gruppi umani in cui non è ancora radicata”. Corsivo nostro.

[2] Il decr. Christus Dominus la pone al primo posto tra i doveri dei Vescovi (nn. 13 – 14); La Sacra Congregazione per il Clero ha pubblicato nel 1971 il Direttorio Catechistico generale, in attuazione del n. 44 del decr. Christus Dominus; Giovanni Paolo II vi dedico uno dei primi documenti del suo pontificato, l’esortazione apostolica Catechesi Tradendae, 1979; Il Codice di Diritto Canonico dedica alla Catechesi un capitolo del libro terzo (cann. 773 – 780), La funzione d’insegnamento della Chiesa, e altre norme sparse: importantissima quella del can. 226 § 2, sull’obbligo dei genitori cristiani di educare i figli “secondo la dottrina insegnata dalla Chiesa”.

[3] La Cost. Ap. di Giovanni Paolo II Pastor Bonus, Roma – Città del Vaticano, 1982, indica ai nn. 75 – 76 le Competenze della Congregazione per i Vescovi riguardo alle Chiese particolari, al n. 89 quelle della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli riguardo alle Chiese particolari dei “territori di missione”. Oltre le diocesi, le altre chiese particolari in territori di missione sono i Vicariati e le Prefetture apostoliche e le Amministrazioni apostoliche costituite stabilmente: Cf. Can. 368.

[4] Corsivo nostro.

[5] Il can. 782 § 1 recita: “La suprema direzione e coordinamento delle iniziative e delle attività riguardanti l’opera missionaria e la cooperazione per le missioni, compete al Romano Pontefice e al Collegio dei vescovi”. Arrieta distingue puntualmente tra “l’alto ufficio di propagare il nome cristiano” (LG, 23) che resta compito specifico del Pontefice Romano, dalla “sollicitudo pro universa Ecclesia che il Vaticano II riconosce a tutti i vescovi”. La Congr. Per l’Evangelizzazione dei popoli (Pastor Bonus, cit., nn. 85 – 92) esprime questa responsabilità particolare del Vescovo di Roma. I vescovi delle diocesi dei territori di missione ricevono collaborazione dal governo centrale della Chiesa attraverso questa Congr., anziché, come quelli dei territori di più antica evangelizzazione, dalla Congr. per i Vescovi.  I vicari, i prefetti e gli amministratori apostolici (can. 371) agiscono come rappresentanti vicari del Sommo Pontefice, che resta pastore proprio di queste circoscrizioni speciali. J. I. Arrieta, Diritto dell’Organizzazione ecclesiastica, Milano 1997, p. 224.

[6] Chiarissimo il n. 6 del Decr. Ad Gentes, cit.

[7] AG, 6, cit., Corsivo nostro.

[8] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris missio, circa la validità del mandato missionario, Roma – Città del Vaticano 1990, n. 33. Anche qui la fonte è il medesimo n. 6 di Ad Gentes.

[9] Ibidem.

[10] Giovanni Paolo II,  Christifideles Laici, Esortazione apostolica postsinodale sulla vocazione e missione dei laici nella chiesa e nel mondo, Roma – Città del Vaticano, 1988, n. 34.

[11] Giovanni Paolo II, Costituzione apostolica Sacrae Disciplinae Leges, Roma – Città del Vaticano, 1983.

[12] Cf. Paolo VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, Roma – Città del Vaticano, 1975, nn. 15; 56.

[14] “Le Chiese particolari, nelle quali e dalle quali sussiste la sola e unica Chiesa Cattolica, sono innanzitutto le diocesi, alle quali, se non consta altro, vengono assimilate la prelatura territoriale e l’abbazia territoriale, il vicariato apostolico e la prefettura apostolica e altresì l’amministrazione apostolica eretta stabilmente” (Can. 368)

[15] Si rilegga il luminoso primo capitolo di Lumen Gentium, che afferra il cuore del lettore attento e lo proietta nel mistero trinitario e nel suo farsi storia nell’Antico e nel Nuovo Testamento, fondando in Cristo la Chiesa “come sacramento” (LG, 1) e “mistero analogo all’incarnazione del Verbo” (cf. LG, 8). Tra coloro che hanno diffuso in Italia l’espressione “icona della Trinità” c’è certamente il teologo Forte. B. Forte, La Chiesa icona della Trinità, breve ecclesiologia, Brescia 1984.

[16] Can. 271, la cui fonte è il Motu Proprio di Paolo VI, Ecclesiae Sanctae, Roma – Città del Vaticano, 1966.

[17] La Regola bollata recita al Cap. IX: “I frati non predichino nella diocesi di alcun vescovo, qualora dallo stesso vescovo sia stato loro proibito”: FF 98.  Cf. G. Cardaropoli,  Predicazione, in Dizionario Antoniano (a cura di Ernesto Caroli), Padova 2002, 615 – 634. Per il Concilio Lateranense IV cf. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna 1973, 239 – 240.

[18] Cf. Can. 4; can. 591.

[19] Cf. Supra, nota 5.

[20] Can. 589.

[21] Specchio di perfezione, FF 1758.

[22] Per comprendere il collegamento tra missione e insediamenti della prima epoca, è preziosa l’opera di L. Pellegrini, Insediamenti francescani dell'Italia dei secoli XIII-XIV (1220-1340), Roma 1983, con carta geografica degli insediamenti.

[23] Nella sua lettera sulla Missione, il Ministro Generale menziona “tra le problematiche meno visibili e che incidono direttamente sul nostro modo di essere missionari […] la nuova solidarietà che dal Sud, dove le fraternità sono più numerose, raggiunge il Nord del mondo, dove la presenza del carisma, dopo una lunga tradizione, sta venendo meno”: Fr. Mauro Jöhri, Ministro Generale OFM Cap, Nel cuore dell’Ordine la Missione, lettera circolare a tutti i Frati dell’Ordine sulla Missione, Roma, 2009, 1.10. Questa solidarietà che viene “dal Sud dell’Ordine” non è sempre facilmente accettata. Le frasi ascoltate in qualche Provincia occidentale in crisi di personale, come “lasciateci morire in pace”, evidenziano una visione privatistica dell’Ordine e della Chiesa e una teologia da … “eutanasia cappuccina ed ecclesiale”.

[24] “Il ministro generale col consenso del definitorio può stabilire che qualche fraternità locale o casa dipenda direttamente da lui e, se il caso lo richiede, abbia uno statuto proprio” (Cost. 110.6).

[25] «L’interpretazione evolutiva tende ad adattare vecchie disposizioni a situazioni nuove che il legislatore non aveva previsto e perciò, se ammessa, non può essere argomentata con riferimento alla volontà del legislatore. L’argomento più adatto è quello della “natura delle cose”, di una interpretazione che muta quando mutano le circostanze in cui viene applicata». Così, in un recente studio, D. Amoroso, L’interpretazione evolutiva della legge e delle disposizioni costituzionali, in www.giuri.unige.it/corsistudio/dottdiritto/documents/Amoroso.doc.

[26] Fr. Mauro Jöhri, Nel cuore dell’Ordine la missione, cit., 2.4.

[27] Il Centro Missionario dell'Ordine Francescano Secolare (Ce.Mi.OFS) è stato istituito il 20 settembre 1998, cf.: http://www.ofs.it/content/cemiofs. In realtà prima di questo atto giuridico ci fu un passo “carismatico”. Nell’ottobre 1997 Umberto e Salvatrice Virgadaula vennero dalla Sicilia a Foggia, presso il nostro convento dell’Immacolata, per incontrare il presidente nazionale Ofs, obbedienza Cappuccini, Mario Cusenza, e il sottoscritto, assistente nazionale. Fummo entrambi colpiti dalla freschezza evangelica della proposta di questi due giovani coniugi e pensammo di coinvolgere la fraternità Ofs più solida che conoscevamo in Italia, quella di Borgo San Lorenzo, nel Mugello, che diede loro alloggio e un lavoro, supportandoli nel trasferimento dalla Sicilia e nell’inizio della … Missione.

[28] Il Cemiofs ha iniziative missionarie nel campo dell’istruzione e dell’assistenza ai poveri, in Venezuela, con i progetti “Pequeño Lapis” e “Seminilla”; in Romania, con il progetto “Prietenie”; in Camerun, con il progetto “Shisong”.  Altri progetti sono allo studio per Albania, Venezuela, Camerun. Cf. il sito dell’Agenzia Fides: http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=22548&lan=ita. Il sito ufficiale dell’Ofs d’Italia fornisce informazioni generali sul Cemiofs e le sue attività formative: http://www.ofs.it/content/cemiofs.

 

 

 

 

[29] C. Taylor, A secular age, Cambridge, Massachusets – London, England, 2007; Edizione italiana: L’età secolare, Milano, 2009, pp. 443 – 456.

[30] Dice il da Spalato: «Questo era l’esordio del suo sermone: “Gli angeli, gli uomini, i demoni”. Parlò così bene e chiaramente di queste tre specie di spiriti razionali, che molte persone dotte, ivi presenti, rimasero non poco ammirate per quel discorso di un uomo illetterato. Eppure egli non aveva lo stile di un predicatore, ma piuttosto quasi di un concionatore [un oratore laico]. In realtà tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace». (FF 2252)

 

 


(Fonte: ESTRATTO DALLA RIVISTA "ITALIA FRANCESCANA" N. 86 ANNO 2011)

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