RACCONTO LA STORIA

EDITORIALE L'AMICO 1/2014

A LEZIONE DI DEMOCRAZIA

Dopo l'otto settembre 1943 ci furono dei ragazzi che dovettero imparare a sparare e a lanciare granate. Da un lato e dall'altro, sugli Appennini o a Salò. Non c'è questo pericolo, non ancora almeno, anche se preoccupa la trasformazione di certi comici in maschere tragiche che urlano minacce volgari e irridono, senza pudore, ogni istituzione del paese. E' tuttavia urgente tornare a costruire la democrazia reale. Quella che i nostri padri avevano fondato sulle rovine della guerra è esangue, va rianimata.

Non concordo con chi condensa tutti i problemi nella mancanza di una classe politica adeguata. Questo è un dato scontato: le Minetti e i Trota, gli Scilipoti e mille altri incompetenti messi sulle poltrone sbagliate non passano invano. Ma io cerco ancora, come un Diogene tricolore, sessanta miloni di cittadini italiani. Non li vedo facilmente.

Democrazia vuol dire "governo di popolo". Ma quanti italiani ho sentito negli scorsi anni idolatrare servilmente l'uomo di Arcore come fosse il Messia; altri hanno cambiato idolo e adorano il ragazzo toscano di belle speranze. Quando un popolo punta tutte le sue attese su un qualunque messia è pronto per il Bar dello Sport, ad attribuire tutte le colpe o i meriti al centravanti di grido, non per la democrazia. Questa esige l'impegno di tutti, o almeno di molti. Il passaggio più pregnante del saggio magistrale che apre questo numero mi sembra la citazione di Rousseau:

"Non appena il servizio a favore della comunità cessa di essere l’interesse primo dei cittadini… la democrazia è già prossima alla rovina… nominano i deputati e restano a casa".

Luigi Volpe ha educato all'amor patrio generazioni di giuristi meridionali dalla sua cattedra di Diritto Costituzionale dell'Ateneo barese. Ci sembra il tempo di andare con lui a lezione di democrazia, a respirare quell'aria nobile, ormai così desueta, che promanava, come fresca brezza di grecale dal porto di Bari, dal giovane professor Moro e dai Calamandrei e tutti gli altri che fecero quella Costituzione, che l'appassionato patriota Roberto Benigni chiama a ragione "la più bella del mondo". Nonostante l'impegno divulgativo del professore, occorre lo speculare impegno del nostro lettore medio per apprendere i robusti concetti, ma vale la pena. I cuori che avevano fatto entrare nel G7 un paese povero e distrutto, con la sola forza di menti creative, di famiglie solide e di braccia volenterose, non ci sono più. L'attuale generazione adulta in Italia ha ricevuto tanto dai propri padri, ma lascia ai propri figli un futuro incerto, minacciato da nemici, prospettive di migrazione o rassegnazione a una frugalità che minaccia continuamente di cadere nel baratro della povertà. Il loto televisivo addormenta le coscienze e fa dimenticare Itaca lontana, toglie la voglia di navigare per raggiungerla. Internet, con la sua utilità, non può soppiantare i caffè parigini del 1789 e i dibattiti appassionati su cosa sia giusto per la nazione e i cittadini.

La democrazia è stata già accoltellata. Quando i tecnocrati condizionano i governi, quando lo spread fustiga e obbliga i parlamenti a obbedire senza margine di libera decisione, la democrazia mostra il suo languore grave.

L'Europa ha abdicato gravemente al suo sviluppo in democrazia, pace, civiltà illuminante per il pianeta intero, quando ha rinunciato ad avere una propria vera Costituzione. L'antica idea di Europa fu nutrita del sangue di due guerre mondiali e del soffio di libertà contro dittature orribili. Si fece carne coi De Gasperi, gli Schumann, gli Adenauer e gli Spaak. L'abbiamo lasciata nelle mani dei banchieri. E abbiamo sbagliato. E' questo il punto da cui ripartire: un nuovo "costituzionalismo europeo". Occorre, come dice Volpe "il giovane", Fabrizio, un nuovo New Deal, un accordo tra i cittadini e le istituzioni per riattivare le menti, le braccia i cuori come nel '45, sulle macerie della guerra. Non si può continuare a soffocare i cittadini tra tasse crescenti e servizi di assistenza calanti. Le nostre città sono più brutte, i nostri comuni non hanno denari per i servizi, ma i redditi dei politici restano altissimi, il numero dei parlamentari e dei rappresentanti ai vari livelli spropositato, la loro efficienza opinabile.

Cosa vogliono i cittadini italiani? Drogarsi ancora con Sanremo e la De Filippi? Dimenticare tutto dinanzi alla scatola magica? Fratelli e sorelle d'Italia, è giunto il tempo di tornare alla fatica di pensare, di prendere lezioni di democrazia e renderle storia. Perché

"il motore della democrazia è uno solo, e cioè la voglia di democrazia [...] sua unica risorsa il coraggio dei cittadini" (L. Volpe).

 

 

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(Fonte: L'AMICO DEL TERZIARIO)

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